Pieve di San Vitale
Carpineti, Reggio Emilia
In questo breve video raccontiamo il viaggio alla scoperta di questo piccolo gioiello dell’Appennino Reggiano.
La storia della Pieve di San Vitale
La prima realizzazione della Pieve di San Vitale risale al VIII o IX secolo ed è di probabile origine bizantina. Lo stesso nome San Vitale richiama quello della omonima basilica di Ravenna.
La pieve è nominata per la prima volta in uno scritto dell’857 e successivamente in un documento imperiale del 980, questo elemento non ci serve solo per collocare l’edificio nel tempo ma ci lascia intuire la sua importanza strategica. Il complesso sistema di castelli e di fortificazioni presenti nell’area, unito al forte presidio delle strutture religiose sparse nel territorio, e certamente anche di San Vitale a Carpineti, hanno a lungo fermato l’avanzata longobarda nell’area fungendo da avamposto bizantino.
Alla luce di questo, non ci stupisce che la piccola pieve abbia finezze architettoniche ed elementi di pregio che non ci saremmo altrimenti aspettati di trovare in un luogo così isolato.
La decadenza della Pieve
La prima descrizione dell’edificio e la rilevazione della sua pianta risalgono soltanto al 1664, anno nel quale la pieve viene descritta come vecchia e ormai utilizzata solo per battesimi e funerali. Da quel momento a seguire l’edificio subisce trasformazioni come quella che la porta da tre navate a una soltanto e. Nel 1754 fu parzialmente demolita con un decreto vescovile. In seguito la navata sinistra ormai ridotta a un rudere fu trasformata prima in un fienile e poi addirittura un metato per l’essiccazione delle castagne, mentre dove sorgeva la navata destra gli abitanti del luogo coltivarono un orticello.
Lo storico reggiano Naborre Campanini vissuto tra l’800 e il ‘900 visitò ciò che restava della navata sinistra, della facciata e del nartece e, nonostante le condizioni pessime, ne riconobbe la pregiata fattura costruttiva annotando: «la fabbrica era di pietra calcare giallognola accuratamente tagliata e lavorata […] un grosso capitello scolpito con un rilievo raffigurante un mostro e diversi frammenti del fregio a palmette».
Nel 1895 l’ufficio regionale per la conservazione dei monumenti intervenne per consolidare ciò che restava della struttura. Questo intervento non tenne conto della struttura come un unico elemento e vennero costruiti dei tetti separati su ognuna delle diverse parti che ancora restavano. Il complesso doveva apparire a un visitatore come un raggruppamento di casette più che un unico edificio.
Il restauro dell’antica San Vitale
Di tutto l’ampio e pregevole lascito medievale presente sul territorio, che comprende tra gli altri il vicino Castello delle Carpinete e gli altri famosissimi castelli matildici, solo un edificio era stato trascurato dalle opere di valorizzazione e restauro degli ultimi decenni: la piccola Pieve di San Vitale di Carpineti.
Ed è nelle condizioni di rovina che lo hanno incontrato gli architetti Lenzini e Costa e l’ingegnere Cangi. Il progetto di restauro non si voleva limitare ad un miglioramento sismico della struttura ma l’obiettivo era quello di restituire al visitatore un importante pezzo di storia ripristinando la forma originale dell’edificio per quanto possibile e valorizzandone il pregio.
Per questo si è voluto ripristinare la struttura alla sua forma più antica, prima che gli interventi del ‘700 e ‘800 ne compromettessero forma e funzionalità. Di grande aiuto sono stati la pianta del 1664 e i sondaggi archeologici.
L’intervento è di tipo reversibile, le modifiche apportate sono volutamente riconoscibili per permettere futuri miglioramenti. L’intervento più vistoso è certamente quello operato al tetto. Sono stati rimossi quei tetti di fine ‘800 che facevano sembrare l’edificio un insieme di piccoli edifici e non una struttura unica. Ora un unico tetto a capanna come quello delle altre pievi romaniche della zona ricopre le parti superstiti della struttura che hanno finalmente ritrovato la loro unità. A completare il processo di riunificazione della struttura pensa la pavimentazione: al posto del rivestimento originale che è andato perso troviamo ora della ghiaia che traccia il perimetro interno dell’antico edificio e che mette in risalto gli elementi recuperati dagli scavi archeologici come la gradinata del presbiterio.
Per realizzare il tetto si è reso indispensabile ricostruire il timpano della facciata che è tamponato con acciaio Corten per distinguersi dell’architettura originale, sempre nell’ottica di reversibilità del restauro. Questo continuo dialogo tra antico e moderno, come l’uso del Corten, nasce dalla necessità di palesare l’intervento di restauro ma è gradevolissimo alla vista.
Un piccolo ma grande museo all’interno
L’ambiente più interessante di tutta la struttura e che non mancherà di suscitare l’ammirazione dello spettatore è l’interno della pieve dove è stato realizzato un piccolo museo archeologico con i frammenti rinvenuti sul luogo degli scavi. Gli architetti Lenzini e Costa hanno pensato di accogliere il visitatore nella parte più intima e meglio conservata della struttura con una sorpresa: varcata la soglia della stanza immersa nella più totale oscurità un sensore di movimento attiva una sequenza di luci che guidano lo sguardo del visitatore come se stesse seguendo una visita guidata.
Nessun dettaglio è lasciato al caso. Il soffitto con tante piccole lucine simula la volta stellata che è visibile al visitatore nelle altre parti della struttura dove non c’è più il tetto, dando l’impressione di trovarsi ancora nelle altre stanze diroccate. Poi davanti allo spettatore appare l’antica mensa della chiesa, in seguito ai due lati s’illuminano le vetrine contenenti i reperti archeologici. La sensazione che ne deriva è quella di un onirico viaggio indietro nel tempo alla scoperta, o meglio riscoperta, del nostro passato attraverso questo piccolo ma significativo edificio.
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